Le Terre del Faet nel cuore del Collio
Una cantina nata dal sogno di Andrea Drius, che nel 2012 decide di dare un'identità all'uva coltivata nel vigneto di famiglia.
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Sede: Viale Roma, 82, 34071 Cormons GO
Tel: +39 347 0103325
email: andreadrius.vino@hotmail.it
sito web: www.terredelfaet.it
Nel cuore del Collio Cormonese, dove le vigne disegnano dolci pendii e il paesaggio alterna filari, boschi e borghi di pietra, c’è una realtà che racconta la terra attraverso la lente della passione e della pazienza. È l’azienda vitivinicola Terre del Faet, una cantina ‘di famiglia’ nata dal sogno di Andrea Drius, che nel 2012 decide di dare un’identità propria all’uva coltivata nel piccolo vigneto di famiglia, in località Faet, ai piedi del monte Quarin.
Lo incontro a Cormons assieme a Monica Pittioni, responsabile della filiale di Romans d’Isonzo della Bcc Venezia Giulia, e Roberto Furlanut, responsabile dell’area territoriale. Tra i filari e la cantina, il tempo scorre a una velocità diversa, oserei dire quasi mistica.
Terre del Faet è un’azienda improntata su varietà autoctone, il 90% della produzione è di tocai friulano, malvasia istriana e ribolla gialla.




«La mia azienda – racconta Andrea Drius – nasce con l’annata imbottigliata nel 2012 e venduta nel 2013. Nasce un po’ per gioco e un po’ per prova con un ettaro di vigneto della zona del Faet che era di proprietà dei nonni». Dopo la morte del nonno, Andrea inizialmente vende l’uva per due anni e poi prova a vinificare lui stesso. «Da questo vigneto sono andato a recuperare altri vigneti a Cormons, crescendo di anno in anno. Ora ho circa sette ettari di vigneti tra acquistati e in affitto», prosegue. Da un hobby, quasi per scherzo, ora l’azienda è il suo lavoro a tempo pieno.
Terre del Faet è un’azienda improntata su varietà autoctone, il 90% della produzione è di tocai friulano, malvasia istriana e ribolla gialla. Esiste anche un blend delle tre tipologie che viene denominato “Collio”. Un blend particolare perché i vitigni nascono e vengono vendemmiati assieme, non sono uniti in ‘postproduzione’, per utilizzare un termine televisivo. Tra le produzioni vi è un unico intruso, il ‘Pinot bianco’, che è una varietà internazionale ma i vitigni «erano già in zona Pradis e tra Cormons e Capriva del Friuli, tra le Colline del Collio e la pianura del Doc Isonzo. Così le ho tenute», prosegue Andrea.
Da qualche anno è cliente della Bcc Venezia Giulia. «Per noi si tratta di un cliente giovane ma di alta qualità e di ampio respiro. Sostenere e dare valore ad aziende che hanno voluto nascere e crescere all’interno del tessuto produttivo locale, in particolar modo all’interno del mercato vitivinicolo cormonese, che è e resta una perla all’interno del panorama economico e produttivo della nostra Regione, non è solo un punto focale per il nostro Istituto ma è la linfa vitale per il lavoro costante e unico che ci lega al territorio», ribadisce Pittioni. Anche se la sede di riferimento è a Romans d’Isonzo, «la vicinanza alle aziende nostre clienti è sempre uguale e sempre di estrema prossimità».
Drius ha un metodo tutto proprio per la produzione e la vendita: «Non accade mai – racconta – che quanto venga raccolto in un anno sia venduto l’anno successivo. Anzi. Ci sono differenze, però, tra un’annata e l’altra e si cerca di guardare alle annate buone imbottigliando anche per gli anni nei quali non si è raggiunto abbastanza prodotto», continua Andrea. Volendo dare una media, si parla di 35mila bottiglie all’anno. E il 2024 non è stato favorevole. «La mia ricerca è verso una continuità di vendita senza avere paura di far rimanere il vino in bottiglia per qualche anno. Il 2025, invece, è un anno che io definisco “poco ma buono”».





Attualmente il mercato è locale e italiano anche se una parte dei prodotti viene venduta all’estero. Parliamo dell’85% in Italia mentre «cerchiamo di crescere costantemente sull’internazionale. I mercati, lì, sono saturi e dopo il Covid è difficile entrarvici», prosegue Drius.
L’azienda vede attualmente due dipendenti in più dal 2024: «Sono amici d’infanzia che da anni seguono il mio lavoro e che conoscono la mia visione generale. Il mondo del vino ha bisogno di tempo e avere un’identità e un’idea in un medio tempo dà stabilità ed è qualcosa che va sempre a pagare, alla fine. Ci vuole coerenza – prosegue Andrea – ma avere costanza è comodo anche per una gestione oculata delle risorse».

L’azienda affonda, in ogni caso, in radici ben più lontane, grazie ai nonni che possedevano i primi vigneti. Oggi Terre del Faet si estende su circa sette ettari nelle zone di Faet, Pradis, Quarin e Bosc di Sot, con una piccola porzione nella Doc Isonzo. È un mosaico di suoli e microclimi che restituisce vini di grande identità, figli di una filosofia semplice e coerente: rispettare la terra, curare la vite, intervenire il meno possibile. Il risultato sono vini che raccontano la complessità del Collio senza artifici. Il Friulano, la Malvasia, la Ribolla Gialla o il Pinot Bianco mentre non manca anche il Merlot, “Rosso del Faet”, dalle note di ciliegia e piccoli frutti rossi.
Bere un vino di Terre del Faet significa bere una storia. È l’incontro tra la fatica di chi coltiva con le mani e la sensibilità di chi ascolta la terra. In ogni bottiglia c’è un frammento di Collio, il profumo del vento che scende dal Quarin, la memoria di generazioni che hanno fatto del vino una lingua da tramandare.





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