Mauro Pelaschier


L’uomo e il mare

Mauro racconta la dinastia dei Pelaschier

04 Giugno 2024 di Giovanni Marzini
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Mauro Pelaschier, la carriera di un uomo di mare

Mauro Pelaschier nasce il 29 aprile del 1949 a Monfalcone da una famiglia originaria di Pola ed inizia a veleggiare per la SVOC, società velica guidata dalla sua famiglia. Figlio e nipote di campioni, già a 15 anni conquista i primi titoli giovanili e dal 1964 agli inizi degli anni ’80 inanella una serie interminabile di successi in campo nazionale ed internazionale. L’apice della sua popolarità lo tocca nel 1983 a bordo di Azzurra impegnato nell’America’s Cup.
Negli anni successivi si dedica ai cabinati vincendo numerose regate e partecipando a diverse regate transoceaniche. Negli ultimi vent’anni ha alternato l’attività sportiva a quella pubblicistica, impegnandosi anche nel sociale come ambasciatore di una Fondazione che lavora e fa ricerca
per la salvaguardia del patrimonio marino.


L’articolo in questa pagina è tratto dalla versione cartacea di Ideale – Diario di Banca nr. 21


“Immaginate cosa può voler dire per un bimbo aiutare lo zio a costruire una barca e poi provarla accanto al padre: una scuola di vita eccezionale.”

Dentro la tua anima ed il tuo cuore, praticamente dalla nascita, perché quando cresci in una dinastia prima ancora che in una famiglia, il connubio con il mare è qualcosa di eterno e indissolubile. Nonno Adelchi, papà Annibale e oggi, accanto a Mauro, sua figlia Margherita. Per gli ultimi due nomi finalmente più comuni, dopo quelli che in famiglia li avevano preceduti: Ines, Nazario Sauro, Erminia, Clelia Libera Roma, Annibale Asdrubale, Spartaco, Regina Elena, Adelchi e Fulgida. Tanto per intenderci. Tre generazioni che definire di marinai è quantomeno riduttivo.

L’imprinting è di nonno Francesco, mastro d’ascia polesano, che da sua moglie Dusolina riceve ben nove figli, anche se cinque di questi moriranno bambini. Ma Adelchi e Annibale crescono con il mare dentro e, Mauro prima e sua figlia Margherita poi,sono oggi qui a testimoniarlo.
“Sono cresciuto con il mare dentro anche e soprattutto per un piccolo grande particolare: sono letteralmente nato in una società velica, la SVOC (Società Velica Oscar Cosulich) e non in una clinica. Nel 1949 si nasceva in casa… E il rapporto con il mare è stato immediato. Mi verrebbe da dire che è stato semplicemente naturale: lo zio Annibale campione e maestro d’ascia, papà Adelchi un altro campione. Li seguivo, li ammiravo già da piccolissimo: nella costruzione delle barche ed in mare, con loro a insegnarmi i primi rudimenti. E quello che potrebbe sembrare un obbligo (la frequentazione del mare) si è immediatamente trasformato in amore. Solo sentire i loro racconti di quando tornavano dalle regate in ogni parte del mondo, immagina quanto possa influenzare e far sognare un bambino. Poi, il resto lo ha fatto il salire su una barca e vivere il mare in prima persona.”

Due maestri che ti hanno forgiato da subito…
“Immagina cosa può voler dire per un bimbo aiutare lo zio a costruire una barca e poi provarla accanto a mio padre. Loro mi guidavano e mi lasciavano fare. È stata una scuola di vita eccezionale.”

E anche un valore aggiunto per la tua carriera…
“Esattamente, ho goduto di un privilegio che pochi altri miei colleghi velisti hanno potuto vantare. Noi
creavamo la barca e la conoscevamo poi meglio di ogni altro. E ne miglioravamo le performance già in fase di costruzione.”

Ingegnere nautico ad honorem…?
“Ingegnere no –Mauro sorride– ma poi, ad esempio, velaio lo son diventato. L’ho fatto anche di mestiere, adattandomi in futuro al continuo cambio di tecnologia. Sì certo, ho fatto una scuola vera e propria. Che poi mi è servita tantissimo. Tornavo a casa dalla scuola normale e mi tuffavo in quella nautica pieno di entusiasmo.”

Naturale che arrivassero allora le prime vittorie e i primi titoli: dal 1964 in avanti campione juniores con la classe Finn, poi campione italiano, medaglie agli Europei e ai Giochi del Mediterraneo, le Olimpiadi, sino ad arrivare ai magici anni ’80 con la mitica Azzurra, in America’s Cup. Lì avete fatto –in termini di promozione dello sport della vela– quello che Thoeni e Tomba hanno fatto nello sci e Panatta e Sinner per il tennis…
“Con la differenza che loro hanno vinto, noi ci siamo andati solo vicino. Ma indubbiamente abbiamo trasformato milioni di italiani in tifosi di questo sport. Quando dico che ci siamo andati vicino, alludo alla semifinale conquistata nella Louis Vuitton Cup. Un’impresa, perché ci arrivammo da perfetti sconosciuti e con poca esperienza nei match- race, in un mondo dominato dagli anglosassoni.”

Siete cresciuti seguendo i loro consigli, ma con quel Cino Ricci che in ossequio alle regole di allora doveva guidare una barca tutta italiana: nella progettazione, nei materiali e soprattutto nell’equipaggio…
“Diciamo che quando ho ricevuto la chiamata di Cino, non ho perso il treno. E per la progettazione e per quan – to imparato in questo tipo di competizione il risultato fu comunque eccellente. Siamo stati i primi italiani in assoluto.”

Con te su Azzurra, anche a ltri corregionali…
“L’unico non triestino ero io. C’erano Enzo De Stefano, Roberto Sponza ed il compianto Fabio Apollonio.”

America’s Cup come culmine della tua carriera?
“È stata importante, ma per la competitività che ho dentro di me, ogni vittoria, ogni partecipazione è importante. Certo, Azzurra mi ha dato tanto, anche quando (sbagliando) ci sono voluto tornare nel 1987. Ma non faccio classifiche. Prima e dopo la coppa America ho dato e ricevuto tantissimo. Caratterialmente ho sempre voluto vincere tanto e soprattutto… subito.”

“Non ricordo quante Barcolane ho fatto, ma ne ho vinto solo una, la numero 30.”

Ti ricordi quante Barcolane hai fatto nel golfo di casa…
“Ti giuro (altro mezzo sorriso) che non so risponderti con precisione. Ricordo l’unica vittoria in assoluto, quella della 30a edizione. Poi tante vittorie di categoria, ma anche qualche arrivo non nelle primissime piazze.”

Ma ci sarai anche quest’anno?
“Poco, ma sicuro!”

Carriera quasi romanzesca quella del monfalconese Mauro Pelaschier, che per anni ha alternato il mare con il lago, quello di Garda, ingaggiato da un costruttore che realizzava imbarcazioni per la TON Cup, il mondiale per barche di stazza IOR. Un’avventura non meno appassionante di tante altre. E poi c’è il Pelaschier che si impegna sul sociale, per cercare di arginare la deriva che mette in pericolo la salute dei nostri mari…
“Sono ambasciatore di One Ocean Foundation. Un’opportunità che mi diede il commodoro dello Yacht Club Costa Smeralda, seguendo un codice etico che si chiama La Carta Smeralda. A bordo di una barca di legno in dodici tappe portai a destinazione un messaggio per spiegare ai giovani che solo impegnandoci tutti in prima persona si può fare qualcosa per un mare sempre più malato, assediato dalle microplastiche. E pieno anche di idrocarburi: il mare è stato per secoli la più grande discarica dell’umanità. E ormai, la raccolta dei rifiuti che lo stanno uccidendo serve a poco; serve investire sulla ricerca ed è quello che fa questa Fondazione. Quello che possiamo fare noi è educare, educare e ancora educare…”.

Un impegno che ti è valso un importante riconoscimento…
“Certo, sono stato premiato dal Presidente Mattarella con il più alto riconoscimento che può ricevere un
cittadino per quanto fa a favore della società civile. Sono Commendatore della Repubblica”.

L’impegno con la One Ocean Foundation nella salvaguardia dei mari è valso a Pelaschier il riconoscimento del Presidente Mattarella

Ne servirebbero tanti di Mauro Pelaschier. Non posso che chiudere con una domanda, allora: la generazione dei Pelaschier legati al mare può continuare?
“Direi di sì. C’è mia figlia Margherita che vive a Lorient, in Bretagna, patria di gente di mare. Ha iniziato a lavorare con navigatori solitari e ha deciso di fermarsi lì.”

Pare più di una garanzia. Il mare resterà a lungo dentro questa meravigliosa famiglia.


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